È arrivata la sentenza definitiva per Claudio Campiti, l’uomo accusato della strage di Fidene, avvenuta l’11 dicembre del 2022. Il tribunale di Roma ha condannato l’imputato all’ergastolo per aver ucciso quattro donne e ferito altre tre persone durante una sparatoria avvenuta nel gazebo di un bar in via Monte Giberto, nel quartiere Fidene. Il tragico episodio ha scosso profondamente l’opinione pubblica italiana e ha riportato l’attenzione sulla sicurezza nei luoghi pubblici e sulle dinamiche legate ai conflitti all’interno dei consorzi abitativi.
Chi è Claudio Campiti: il profilo dell’imputato
Claudio Campiti, 57 anni, originario di Fiuggi ma residente a Roma, era noto per le sue controversie legali con il consorzio Valle Verde di Rieti, una comunità residenziale nella quale possedeva una casa. Secondo quanto emerso durante il processo, Campiti nutriva un forte rancore nei confronti dei membri del consorzio, accusandoli di averlo discriminato e di ostacolare la sua partecipazione alle assemblee condominiali. Questo risentimento, covato per anni, si è trasformato in un gesto estremo e premeditato, culminato nella sparatoria del dicembre 2022.
La dinamica della strage di Fidene
La mattina dell’11 dicembre 2022, Campiti si è recato armato in un bar di via Monte Giberto, dove era in corso una riunione del consorzio Valle Verde. Dopo essere entrato nel gazebo dove si svolgeva l’assemblea, ha aperto il fuoco con una pistola Glock calibro 9, uccidendo sul colpo quattro donne: Fabiana De Angelis, Nicoletta Golisano, Sabrina Rossi e Elisabetta Silenzi. Altre tre persone sono rimaste ferite, tra cui una donna colpita gravemente al volto.
L’arma utilizzata era stata sottratta pochi giorni prima da un poligono di tiro di Roma, dove Campiti si era recato con regolare iscrizione per esercitarsi. Questo dettaglio ha sollevato numerose polemiche sulla gestione e il controllo delle armi da fuoco nei poligoni e sui criteri di accesso per i civili.
Le vittime della strage
- Fabiana De Angelis: 50 anni, madre di due figli, lavorava come impiegata e partecipava attivamente alla vita del consorzio.
- Nicoletta Golisano: 50 anni, madre di un bambino, molto conosciuta nel quartiere per il suo impegno sociale.
- Sabrina Rossi: 53 anni, insegnante, residente nel consorzio Valle Verde.
- Elisabetta Silenzi: 55 anni, avvocata, anche lei coinvolta nelle attività del consorzio.
Le loro famiglie hanno chiesto giustizia sin dal primo momento, diventando simbolo di una comunità ferita e unita nel dolore.
Il processo e la sentenza: ergastolo senza attenuanti
Il processo a carico di Claudio Campiti si è svolto in tempi relativamente rapidi, anche grazie alla scelta dell’imputato di non chiedere il rito abbreviato. La corte ha riconosciuto la piena responsabilità dell’uomo, condannandolo all’ergastolo senza attenuanti. Secondo i giudici, il gesto è stato premeditato, motivato da un odio profondo e da una volontà di vendetta nei confronti delle vittime, considerate rappresentanti di un sistema che, a suo dire, lo aveva escluso e umiliato.
Durante il processo sono emerse numerose prove, tra cui messaggi, post sui social e testimonianze che hanno delineato il profilo di un uomo ossessionato dalla sua battaglia personale contro il consorzio. Le parole del pubblico ministero sono state chiare: “Un gesto di odio puro, senza alcuna giustificazione”.
Reazioni alla sentenza: tra dolore e sollievo
La sentenza che ha condannato Claudio Campiti all’ergastolo è stata accolta con un misto di emozione e sollievo dai familiari delle vittime. “È una giustizia che non ci ridarà le nostre madri, sorelle e amiche, ma almeno riconosce la gravità di quanto accaduto”, ha dichiarato il figlio di una delle vittime. Anche le istituzioni hanno espresso vicinanza alle famiglie e condannato con fermezza l’accaduto.
Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha sottolineato l’importanza di rafforzare i controlli sulla detenzione e l’uso delle armi da fuoco, mentre la presidente del Municipio III ha annunciato l’intitolazione di un giardino pubblico alle quattro donne uccise, come segno di memoria e di impegno contro ogni forma di violenza.
Il contesto del consorzio Valle Verde
Il consorzio Valle Verde, situato nella zona montana della provincia di Rieti, è una comunità residenziale composta da abitazioni per lo più utilizzate come seconde case. Negli anni, si sono registrati numerosi dissidi interni tra i consorziati, spesso legati alla gestione del territorio, alla manutenzione delle strade e alla partecipazione alle assemblee. Claudio Campiti aveva intentato diverse cause civili contro il consorzio, denunciando presunti abusi e discriminazioni nei suoi confronti.
Secondo gli atti del processo, Campiti si sentiva escluso e perseguitato, tanto da arrivare a definire il consorzio come una “setta”. Questa visione distorta della realtà ha alimentato il suo rancore, portandolo a compiere un gesto estremo e irreparabile.
Le implicazioni sociali e legali del caso
La strage di Fidene ha aperto un dibattito importante sulla gestione dei conflitti all’interno delle comunità residenziali e sulla prevenzione degli atti di violenza. Il caso ha evidenziato la necessità di strumenti più efficaci per monitorare situazioni di disagio psichico e per prevenire l’accesso alle armi da parte di soggetti potenzialmente pericolosi.
Inoltre, ha sollevato interrogativi sul ruolo dei social media nel radicalizzare comportamenti devianti. Campiti aveva pubblicato diversi post sui suoi profili social in cui esprimeva rabbia e frustrazione, senza che questi segnali venissero intercettati dalle autorità.
Prevenzione e memoria: cosa resta dopo la sentenza
La condanna all’ergastolo per Claudio Campiti rappresenta la fine di un percorso giudiziario, ma non cancella il dolore delle famiglie e della comunità. L’episodio ha lasciato un segno profondo nel quartiere Fidene e ha spinto molte persone a riflettere sul valore del dialogo, della prevenzione e della solidarietà.
In memoria delle quattro vittime, sono state organizzate diverse iniziative, tra cui una marcia silenziosa e la creazione di un fondo per sostenere i figli delle donne uccise. Le scuole del quartiere hanno avviato progetti educativi per promuovere la cultura della non violenza e del rispetto reciproco.
Un monito per il futuro: mai più tragedie come quella di Fidene
La strage di Fidene, con la sua brutalità e il suo impatto emotivo, rimarrà una delle pagine più dolorose della cronaca recente italiana. La sentenza di ergastolo per Claudio Campiti è un atto di giustizia, ma rappresenta anche un monito per le istituzioni, i cittadini e la società intera. È fondamentale individuare per tempo i segnali di disagio, intervenire con tempestività e garantire che episodi simili non possano più accadere.
Solo attraverso l’ascolto, la prevenzione e l’educazione si potrà costruire una società più sicura, giusta e solidale. Le vittime di Fidene meritano di essere ricordate non solo per il tragico destino che le ha colpite, ma per il cambiamento che la loro memoria può ispirare.
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