Inchiesta | ROMA CITTÀ STRANIERA: la dura strada dell’integrazione
“Non siamo per Davide… Siamo per Golia!”
Dalla parte di Spessotto, Vinicio Capossela
Questo è il numero, dove forse più degli altri, Fuori le Mura ha deciso di schierarsi. Proprio come stiamo facendo riguardo alla questione del referendum, vogliamo raccontare lo stato dell’integrazione a Roma, partendo da un punto di vista chiaro. Tutto questo, non solo per ribadire ancora una volta che siamo Dalla parte di Spessotto, come direbbe Vinicio Capossela. Si tratta soprattutto di narrare la storia di quei tanti Spessotto, nati in altri paesi, o addirittura nel nostro, che vengono però percepiti come appartenenti a una realtà un milione d’anni luce distante da quella di quel Noi, che pensiamo ci abbia riunito tutti sotto la stessa bandiera. Vogliamo raccontare e non semplicemente notificare, come fa quel giornalismo da agenzia di stampa che fornisce un quantitativo indefinibile di notizie da masticare, da consumare lungo tutto l’arco della giornata. Il lettore cui ci rivolgiamo qui, è colui che ancora sa ritagliarsi il suo tempo per riflettere e che soprattutto ha ancora voglia di guardarsi intorno con curiosità.
Il nostro racconto parte dal luogo in cui viviamo: quel Roma città straniera può avere molteplici significati. Anzitutto è la Roma degli stranieri, di quelli che vengono percepiti come stranieri, come diversi, nonostante siano per la maggior parte italiani, o comunque cittadini europei, ed è il caso dei Rom e dei Sinti. La Roma di quegli stranieri che trovano il loro spazio ai margini della nostra città, o che sono considerati colonizzatori di interi quartieri, come nel caso dell’Esquilino e di Piazza Vittorio. La Roma estranea ed estraniante, che definisce il concetto stesso di straniero: che mette al bando, che pone ai confini invece di integrare, la Roma delle politiche istituzionali fatte per contenere un’emergenza, piuttosto che mettere in luce le potenzialità di quei fantasmi che si muovono intorno a noi; mai tra di noi. La Roma che mette un braccialetto identificativo ai venditori ambulanti con un numero di serie, come se fossero delle merci: la stessa logica spersonalizzante che vigeva nei campi di concentramento.
Una Roma però, dove non tutto è perduto, perchè dove mancano le istituzioni, al solito, il welfare made in Italy è affidato alle associazioni di volontariato, laiche o religiose che siano. Tutto questo dimostra un’attenzione dei cittadini a dei problemi sociali che la politica non solo non è capace di risolvere, ma nemmeno di porsi nella giusta maniera: ancora una volta la distanza tra società civile e istituzioni si rivela siderale. La nostra inchiesta, in un certo senso, indica il fallimento della politica, proprio laddove alcune persone che lavorano quotidianamente, senza avere le risorse economiche necessarie, riescono a sopperire – almeno in parte – alle mancanze di chi per mestiere dovrebbe gestire questi problemi, di chi avrebbe i mezzi necessari per farlo. Solo che a volte, si preferisce puntare sulla paura, dare al cittadino un’immagine sbagliata di chi gli si muove intorno, si preferisce usare il pugno duro della forza, anzichè la mano vellutata dell’inclusione sociale, dell’integrazione. Ed è una politica di vecchia data in Italia questa, non ascrivibile a un credo, a un colore, nonostante tutte le belle parole di cui i leader di alcuni schieramenti si riempiono la bocca.
Quest’inchiesta ha deciso di schierarsi, ma ciò non significa schierarsi con il rosso piuttosto che con il nero. Anzi, indica la necessità di andare oltre questo tipo di logiche per mostrare quali siano le reali condizioni in cui i migranti, i rom, i sinti e in generale tutti coloro che vengono percepiti come stranieri vivono realmente. Una visione puramente ideologica della questione non potrebbe che oscurare la verità ancora una volta. Bisogna denunciare con forza allora che l’unica strada possibile da seguire è quella dell’integrazione, dell’inclusione sociale e non quella dei CPT, dei campi Rom ai margini della città, dell’esclusione degli stessi dalla lista per le case popolari. Sicuramente non è la strada più facile, ma come spesso accade è l’unica perseguibile.
Abbiamo deciso allora, in assenza di risposte politiche pregnanti, di schierarci per il momento Dalla parte di Spessoto e ci perdoni il buon Vinicio per l’indebita attribuzione.
Ecco il sommario:
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